Nel Sermone di Benares, con cui il Buddha inizia la sua predicazione, viene chiaramente negata l’essenza a tutte le cose, motivando ciò col fatto che ogni cosa trae la propria realtà da altre cose che ne sono la causa.
Solo il Nirvana sfugge a tale destino, in quanto non è uno “stato”, bensì una “condizione” di assenza (non c’è morte e vita, gioia e dolore…).
Lo stesso “io” non è che una successione di stati di coscienza fondati su un insieme di sensazioni e parvenze fisiche.
L’io, se lo si intende come “realtà”, non è che un’illusione.
Il Buddismo parte dal presupposto che tutta la vita è dolore, esso cioè da per scontato che i desideri non possono realizzarsi e che, anche quando lo sono, non procurano la felicità, poiché ne sorgono altri di grado superiore o di diversa natura.
In tal senso anche il piacere è dolore, in quanto implica adesione a qualcosa di estraneo.
L’origine del dolore è la “sete” o desiderio, che può essere di tre tipi: piacere, voler esistere, non voler esistere, e vi sono tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale).
L’io che non riesce a sottrarsi a questa schiavitù, è destinato a reincarnarsi (samsara) in eterno, almeno fino a quando non si sarà purificato interamente.
Con Metta, Bianca Nimmala