Eccoci ora al quattordicesimo esercizio:
Inspiro e comprendo che i dharma non sono degni di essere desiderati.
Espiro e comprendo che i dharma non sono degni di essere desiderati.
Inspirando osservo in profondità la natura dei dharma e comprendo quanto non siano “degni di essere desiderati”.
Il termine sanscrito è viraga, ovvero “non provare attaccamento e desiderio per qualcosa”.
Dovremmo sapere che i dharma, i fenomeni oggetto delle nostre percezioni, sono impermanenti.
Funzionano come esche, ma non sono degni del nostro desiderio, anche se per ignoranza possiamo ritenere che non sia così.
Dobbiamo guardare con cura nella natura di ogni fenomeno, in modo da comprenderne la relatività.
Quando gettiamo un’esca nel fiume, sappiamo che in quell’esca c’è un amo, e speriamo di ingannare il pesce. In effetti il pesce è ingenuo, perciò non abbiamo bisogno di usare un’esca vera. Ci è sufficiente agganciarne all’amo una di plastica. Se il pesce sapesse come osservare la natura ingannevole delle cose, riuscirebbe a individuare l’amo nascosto nell’esca e ne comprenderebbe la natura “non degna di essere desiderata”.
Il Buddha ha detto che ci sono cinque tipi di desideri mondani: potere, denaro, sesso, fama e buon cibo.
La maggior parte di noi ha sofferto a causa del desiderio di un cibo appetitoso: mangiamo una pietanza perché ha un buon sapore, ma dopo soffriamo moltissimo.
Solo allora iniziamo a vedere che tutto ciò non è degno del nostro desiderio.
Il Buddha nei suoi discorsi ci ha offerto molti esempi: il desiderio è come una torcia che reggiamo controvento, la cui fiamma soffia all’indietro e ci brucia; il desiderio è anche un osso senza carne che, rosicchiato dai cani giorno e notte, non dà alcun nutrimento.
Dopo aver guardato in profondità nell’impermanenza, possiamo osservare a fondo la natura “non desiderabile” delle cose che vogliamo per capire come portino con loro pena e sofferenza.
Il Buddha ha anche narrato la stora di un assetato che aveva visto dell’acqua rosa, molto profumata. Nonostante fosse stato avvisato che quell’acqua gli sarebbe stata fatale, egli la bevve e morì.
Questo è l’effetto dei desideri dei sensi. Dobbiamo perciò ricordarci di mettere in pratica le parole dei sutra con l’aiuto del Sangha.
Se abbiamo la presunzione di farne a meno, intraprenderemo facilmente il sentiero errato, inseguendo i cinque desideri mondani. A questo proposito è anche utile chiedere a chi ha sofferto molto, a causa dei propri desideri, di parlare della propria sofferenza.
È un modo eccellente per capire cosa si rischia, soprattutto nel caso in cui non vi siate ancora addentrati in quel regno di sofferenza e pensiate che sia una buona meta.