Vediamo di fare una meditazione sulla stessa meditazione: invece di iniziare con un fuoco fotografico ristretto cominciamo con il massimo dell’esposizione.
Poniamoci in uno stato di attenzione senza scegliere il ritornare ad un oggetto preciso come puo’ essere il respiro.
Il ritorno – quando ci accorgessimo della distrazione – sara’ all’essere attenti.
Questo essere attenti puo’ essere facilitato se noi usiamo come regola di base di “stare attenti a quello che predomina”, che a volte sara’ lo stesso respiro, altre volte le sensazioni fisiche, altre ancora i suoni, i rumori, le immagini mentali, emozioni o quant’altro.
Naturalmente, questo presuppone una certa combinazione di calma e di flessibilita’ che non puo’ risultare facile, per cui si tende a distrarsi, a perdersi, in genere, con piu’ facilita’ che non avendo un oggetto fisso.
Attenzione aperta; se dobbiamo aiutarci possiamo dire semplicemente presenza, attenzione, consapevolezza.
Non dobbiamo correre dietro a quel suono o a quell’immagine, ma cerchiamo di stare soprattutto fermi con la mente e con l’attenzione, lasciando che venga quello che vuole venire.
Restando fermi, recettivi, trasparenti, si affacciano man mano cose diverse: a volte ci perdiamo, altre ci distraiamo, altre ancora ci risvegliamo.
Senza scegliere; un rumore che, magari, non ci piace: accettiamo ugualmente questo rumore se e’ quello che predomina, se e’ quello che si offre alla consapevolezza. Non selezioniamo, non scartiamo, non cerchiamo.
Un dolore ad una mano, si offre alla consapevolezza e noi lo osserviamo.
Chi o che cosa e’ consapevole?
Quando parliamo di “consapevolezza”, di “attenzione” diciamo di termini verso i quali siamo molto abituati, ma sappiamo veramente che cosa e’ questa facolta’, questa “cosa”, questo… mistero?
Senza cercare, senza trattenere, senza inseguire; sorgono immagini e le guardiamo, senza trattenerle.
La consapevolezza, se puo’ vedere queste immagini, e’ piu’ grande delle immagini stesse, delle sensazioni fisiche, dei pensieri, che puo’ contenere, puo’ vedere.
A volte ci puo’ capitare di sentire la vastita’ della consapevolezza.
Presenti nel presente, recettivi a quello che viene.
E adesso, il suggerimento e’ quello di restringere il fuoco dell’attenzione, riportarlo sul respiro, sulla inspirazione, sulla espirazione, esercitando una attenzione ferma ed insieme delicata.
L’inspirazione comincia e termina, cosi’ l’espirazione comincia e termina.
Le insiprazioni come le espirazioni possono essere piu’ lunghe o piu’ brevi, possono essere lisce, distese oppure tronche, possono essere piacevoli, neutre.
Anche qui, cogliendo le caratteristiche che si presentano, senza sforzarsi, senza cercare, senza inseguire: fermi e attenti.
A volte puo’ sorgere stanchezza sia fisica che mentale; ma la consapevolezza – e cio’ che essa puo’ sollecitare – resta, in qualche misura, accessibile; allora avere consapevolezza significa avere la possibilita’ di mettersi in modo diverso davanti alla stanchezza, di mettersi in modo morbido davanti alla facilita’ a distrarsi o ad insonnolirsi.
Se esiste gia’ una buona base di lavoro sulla meditazione di consapevolezza, ogni tanto e’ consigliabile aprire l’attenzione a tutto campo, magari per una porzione anche breve di una seduta di meditazione.
L’attenzione al respiro – contrariamente a quello che spesso si sente dire – non e’ un preliminare.
Uno dei discorsi del Buddha, che si chiama “l’insegnamento all’attenzione al respiro”, non dice che questa e’ l’anticamera, e poi…, ma e’ un insegnamento completo.
Pero’ in questa tradizione contemporanea si trova che e’ utile avere diversi tasti, modi, quali il respiro, le sensazioni fisiche, i suoni e l’attenzione globale.
Muoversi su piu’ fronti.